Nel testo greco di Giovanni 1,7, troviamo:
οὗτος ἦλθεν εἰς μαρτυρίαν, ἵνα μαρτυρήσῃ περὶ τοῦ φωτός, ἵνα πάντες πιστεύσωσιν δι’ αὐτοῦ
“Egli venne come testimone della luce perché tutti gli uomini, ascoltandolo,
credessero nella luce”.
Il termine greco per “testimone” è μάρτυς. Molti linguisti, fanno risalire questa forma ad una radice indoeuropea, secondo l’ipotesi etimologica che collega il termine greco μάρτυς con il sanscrito स्मरति (smarati, “ricorda”).
Vorrei spiegare brevemente questa ipotesi linguistica, che trovo molto interessante nelle sue implicazioni concettuali, di cosa sia un “testimone”.
Questa teoria si basa sul principio del grado zero. In linguistica indoeuropea, il grado zero (zero-grade) si riferisce a una forma ridotta di una radice, in cui la vocale tematica viene soppressa. Ad esempio:
- radice piena: smar- (dal sanscrito smarati, “ricorda”)
- grado zero: mr- (senza vocale, riduzione della radice)
- suffisso –ty: Il suffisso -ty è comune nelle lingue indoeuropee e forma sostantivi astratti o di agente. In questo caso, si ipotizza che il suffisso -ty sia stato aggiunto al grado zero della radice smar- → mr-ty, che potrebbe evolversi in una forma simile a martys.
La connessione semantica tra smarati (“ricorda”) e mártys (“testimone”) si basa sull’idea che un testimone sia “colui che ricorda e testimonia un evento”. In molte tradizioni antiche, la memoria e la testimonianza erano strettamente legate. Quindi, l’ipotesi suggerisce che μάρτυς possa derivare da una forma indoeuropea basata sulla radice smar- (“ricordare”) in grado zero (mr-), con l’aggiunta del suffisso -ty, che forma il sostantivo. Questo rifletterebbe un’antica relazione tra il concetto di memoria e il ruolo di testimone, visibile anche in altre lingue indoeuropee.