Nel cuore della Prima Lettera, Giovanni insegna che chi ama, rimane in Dio; chi rimane in Dio, conosce Dio; e chi conosce Dio, ama. Trovo molto interessante questo dinamismo spirituale che intreccia tre verbi – rimanere, amare, conoscere – e fa di essi la struttura della vita cristiana autentica.
“Nessuno ha mai visto Dio; ma se ci amiamo gli uni gli altri, Dio rimane in noi e l’amore di lui è perfetto in noi” (1Gv 4,12). In queste parole si cela un mistero disarmante: l’invisibile si manifesta nell’amore vissuto.
Il verbo greco μένω (ménō), che significa “dimorare, restare, perseverare”, è uno dei preferiti dell’evangelista Giovanni. Non indica qualcosa di statico, ma piuttosto una presenza stabile, profonda, fedele. “Rimanere” in Dio significa abitare l’interiorità come luogo dell’incontro. L’amore non è un sentimento, ma una fedeltà.
Il secondo verbo, ἀγαπάω (agapáō), non indica un amore possessivo o emotivo, ma l’amore che si fa dono. È lo stesso verbo usato per dire che “Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio” (Gv 3,16). L’amore cristiano è partecipazione a questo movimento divino: Dio si dona, e noi diventiamo figli nel momento in cui partecipiamo a questo dono. L’amore che salva non è quello delle parole, ma quello che si traduce in gesti concreti (1Gv 3,17). Se chiudi il cuore, l’amore di Dio non è in te. Non perché Dio se ne va, ma perché sei tu che ti allontani, non accogli, non rispondi all’amore.
Il terzo verbo, γινώσκω (ginṓskō), in Giovanni ha un significato molto speciale: la conoscenza di Dio è possibile solo attraverso l’amore. Si conosce Dio facendone esperienza e amando come Lui ama.
“Chi non ama, non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore” (1Gv 4,8)
In questa frase tutto si ribalta: la verità non è qualcosa che si possiede, ma qualcosa che si diventa. E si diventa veri quando si ama, perché in quel momento si fa esperienza di Dio stesso. Simone Weil parlava della “discesa dell’eterno nel tempo”: ogni atto d’amore reale è una irruzione dell’eterno nella nostra esistenza quotidiana. Antonella usa spesso l’espressione: l’invisibile nel visibile, l’infinito nel finito, l’eterno nel tempo, il tutto nel frammento. La mistica cristiana è una mistica incarnata, come sottolinea Antonella, perché il cristianesimo è l’incarnazione del divino nell’umano. L’essere umano è chiamato a vivere l’invisibile nel visibile, l’infinito nel finito, l’eterno nel tempo, il tutto nel frammento. Conoscere Dio significa lasciarsi permeare dalla sua luce e dal suo amore. Non si può amare Dio senza prima fare esperienza del suo amore.
“Solo chi si lascia amare, a sua volta può amare” (Antonella Lumini, Dio è Madre, p. 23).
L’insegnamento di Antonella è un invito a consegnarsi totalmente all’azione vivificante dello Spirito Santo. È un’esperienza di resa profonda, un lasciarsi amare, guardare, raggiungere, che apre le porte a una trasformazione interiore radicale. Accogliere lo Spirito significa permettergli di penetrare nelle profondità più intime del nostro essere, là dove siamo più vulnerabili ma anche più aperti alla grazia. È proprio in questo spazio di fiducia e apertura che lo Spirito opera, rinnovandoci a immagine dell’Amore divino. Siamo chiamati a diventare strumenti della sua opera, incarnando la forza dell’amore, cedendo ad essa senza più resistenze dell’io. Quando le barriere cadono e le difese si dissolvono, diventiamo ascolto puro, canale libero e ricettivo attraverso cui la luce dello Spirito può fluire e manifestarsi nel mondo.
Possiamo allora tracciare un percorso interiore in questa prima lettera di Giovanni attraverso l’uso di questi 3 verbi:
Rimanere è la condizione: senza radici, l’albero non può vivere.
Amare è il cammino: non si rimane in Dio se non si ama concretamente.
Conoscere è il frutto: chi ama veramente, conosce Dio dall’interno.
La fede è un luogo da abitare. E questo luogo è l’amore. Un amore che accoglie, che dona, che resta, anche nella notte.
“Dio è amore. Chi rimane nell’amore, rimane in Dio e Dio in lui” (1Gv 4,16)
In queste parole, Giovanni ci consegna una via semplice e radicale: non vedere Dio con gli occhi, ma incarnarlo con la vita.